Sergio Deleo - Il Blog

Sergio Deleo - Il Blog

martedì 4 dicembre 2018

Aiguille d'Argentière - cresta di Flèche Rousse



Sempre a proposito di belle linee di cresta da seguire ad inizio stagione, vi segnalo la Cresta di Flèche Rousse all’Aiguille d’Argentiere. Noi Italiani conosciamo questa bella montagna soprattutto per il classico itinerario che risale il glacier du Milieu, frequentato anche in primavera come gita scialpinistica. Certamente interessanti sono poi il Couloir en Y e le vie dell’imponente parete nord nonchè l’impegnativa cresta du Jardin della quale vi ho parlato in un precedente post. La Flèche Rousse è la cresta sud est dell’Aiguille d’Argentière che collega il col du Tour Noire alla vetta. Le descrizioni che si trovano a proposito di questa via parlano di aggiramenti con discese in svariati canali da un lato e dall’altro della cresta. A mio parere conviene andare ad intuito stando praticamente sempre in cresta o nei pressi di quest’ultima. Quindi, risalito il  ghiacciaio di Amethystes, si segue la ripida  rampa da destra a sinistra per sbucare in cresta, appena a monte dei denti rocciosi che si trovano sulla sinistra del col du Tour Noire.

 Si aggira sul versante Saleina un piccolo gendarme e sempre lato Saleina, con una linea ascendente, il primo balzo ripido della cresta. Appena la pendenza diminuisce un pendio di neve riporta a sinistra ad una larga sella. Da qui si supera il muro roccioso seguente, di bella roccia rossa, per fessure e diedrini (passaggi intorno al quarto grado). Con qualche metro di discesa ci si porta alla base dell’evidente ripido pendio di neve rivolto ad est. Lo si risale sino a dove muore sotto ad un breve salto di roccia. Si supera una evidente fessura camino con arrampicata faticosa (qui il quinto grado c’è tutto). Dalla cima della Flèche Rousse una breve doppia deposita poco distanti dalla vetta. A parte i due brevi tratti rocciosi prima descritti, si tratta di un itinerario di neve e misto ed è in queste condizioni che va affrontato. In effetti, in condizioni secche, questa via risulta sconsigliabile a causa della cattiva qualità della roccia liberata dalla neve e dal ghiaccio che si presenta come una successione di pericolosi blocchi accatastati. Del resto, la discesa dalla vetta lungo la via normale è anch’essa da intraprendere ad inizio stagione perché una volta in ghiaccio il primo ripido pendio sotto la cima (40/45 gradi) e con la crepaccia terminale ed il ghiacciaio molto aperti, il rientro a valle si complica di molto. 

Vista la simpatia dei gestori Béa e Fred, la bellezza dei luoghi e la super qualità del granito di questa parte del gruppo del Bianco, vale certamente la pena fermarsi al rifugio qualche giorno in più. Nell’occasione, con Piero, il giorno di salita al rifugio (un’ora e mezza dalle funivie) avevamo percorso la breve ma bella linea di “ Un Eclat de Rire “  all’Aiguille du Génépi.

venerdì 23 novembre 2018

Breithorn - Triftjigrat


 I primi giorni di Luglio, sfruttando le buone condizioni di inizio stagione, sono stato con Daniela a ripetere la cresta Triftjigrat al Breithorn occidentale. L’ultima delle linee classiche di questa catena che ancora mi mancava. Si tratta di una via prevalentemente glaciale e non priva di pericoli oggettivi, visti i grandi seracchi che dominano il Triftjiplateau. L’ambiente è grandioso, alla sinistra l’elegante linea della più impegnativa cresta Young ed in basso, verso nord, il grande fiume di ghiaccio del Gorner. Partire dalla Gandegghutte , come abbiamo fatto noi, non è una scelta disprezzabile. Consente infatti di avere “a vista” il percorso da seguire per portarsi alla base della cresta. Il ghiacciaio da attraversare in questa zona è pianeggiante e privo di nodi di crepacci particolarmente complessi. Ovviamente si può anche scendere diagonalmente da Plateau Rosà, come peraltro avevo fatto in passato con Simona per ripetere la Supersaxo . Le ultime caldissime stagioni hanno però molto movimentato questa parte del Unter Theodule gletsher rendendone l’attraversamento notturno in alcuni casi (una volta si sarebbe detto “a stagione avanzata” ma oramai si potrebbe dire oltre metà luglio…) non banale e pericoloso.
 La prima parte della Triftjigrat si presenta rocciosa e si aggira facilmente per pendii nevosi. Si segue poi la bella cresta nevosa che con qualche breve e non difficile salto di misto porta inizialmente ad un primo plateau e successivamente al Triftjiplateau vero e proprio, dominato dalle grandi seraccate che caratterizzano l’ultima parte dell’itinerario. Quest’ultima la si affronta verso destra, attraversando rapidamente la spianata ed aggirando le scariche per poi risalire i ripidi scivoli sotto la vetta. L’esposizione a nord est fa sì che il sole arrivi ad illuminare la parte alta della parete molto presto rendendo il paesaggio “molto pittoresco” ma favorendo anche la comparsa di ghiaccio già ad inizio stagione o la destabilizzazione dei pendii nevosi in caso di forte sovraccarico. A seconda delle condizioni nell’ultimo tratto si può scegliere se salire direttamente verso la cima, superando o zizzagando tra brevi tratti di misto o se, come nel nostro caso vista la presenza di uno strato superficiale di neve fresca, piegare verso sinistra e raggiungere la vetta seguendo o bordeggiando una costola rocciosa. Con noi sull’itinerario di salita tre cordate svizzere, su quello di discesa invece…, “il mondo” alla conquista del più facile dei Quattromila che, pazientemente, cerca di concedersi a tutti.

sabato 10 novembre 2018

Spigolo Nord del Badile - Agosto 2017




Trent’anni fa, con Guido, durante la ripetizione della famosissima via Cassin sulla nord-est del Badile, avevamo a lungo guardato il perfetto profilo roccioso alla nostra destra. Lo Spigolo Nord, con la sua linea elegante, si staglia infatti tra le pareti nord-est e  nord-ovest del Pizzo Badile, in val Bondasca. Ad inzio agosto 2017 ho finalmente ripetuto questo itinerario in compagnia di Andrea. Difficile volere di più, ottima accoglienza al rifugio Sacs Furà e giornata della salita limpida, anche se calda. Arrampicata piacevole su di un granito “da urlo”, non particolarmente difficile ma quasi mai banale. Lo spigolo in effetti è sì appoggiato e all’apparenza discontinuo ma è comunque tutto da scalare. Siamo saliti quasi sempre in conserva assicurata. Il tiro più impegnativo ci è sembrato quello della placca Risch. Su questa lunghezza ho ringraziato di avere le scarpette ai piedi perché è pur vero che ci sono degli spit ma con gli scarponi avrei certamente faticato. Prima delle undici in vetta e dopo una meritata pausa, discesa sul versante sud, verso la capanna Gianetti.
Tre ore con alcune doppie sulla linea classica che, relazione alla mano,  si segue facilmente e poi sentiero evidente tra le pietraie (l’eventuale discesa in doppia lungo lo spigolo ci è sembrata francamente sconsigliabile. Il terreno è infatti troppo appoggiato per delle calate scorrevoli). Il giorno successivo siamo poi rientrati attraverso i passi del Porcellizzo e Turbinasca per concludere idealmente un cerchio da rifugio a rifugio. Il sentiero è ben segnalato, tra grandi massi e zone di frana, con qualche catena sul secondo colle. Probabilmente proprio a causa dei rari tratti di sentiero ben camminabile la traversata ci è sembrata comunque faticosa. Senza correre ci sono volute circa 5 ore dal Gianetti al Sacs Furà . Ancora una volta il gruppo del Badile mi ha lasciato la voglia di tornare ma anche molta, molta tristezza. Lo spigolo nord  è stato infatti  la prima salita in compagnia di Andrea e purtroppo   anche l'unica. Andrea è infatti mancato ad inizio settembre del 2017, durante un tentativo solitario della via Mayor, sul versante Brenva del Monte Bianco. Ancora oggi mi rimprovero di non aver cercato di dissuaderlo da quella sua idea di un avventura totale, senza compromessi e ancora più sorprendente perchè portata avanti da un ragazzo poco più che ventunenne. In quelle tre giornate nelle quali le nostre esperienze sono venute a confronto, la sua filosofia di  alpinismo mi ha portato a provare emozioni contrastanti; da una parte l'ammirazione e  il rispetto per un avventura "d'altri tempi" e dall'altra la paura e la preoccupazione per le evidenti situazioni di pericolo che da un confronto così duro avrebbero potuto derivare. Avevo, nell'occassione, pensato di rinviare i discorsi da vecchio e saggio alpinista ad una prossima gita , per non rovinare quei momenti carichi di un entusiasmo contagioso. Purtroppo la realtà è che non sappiamo quanto tempo abbiamo davanti. Avrei dovuto cercare di portarlo verso una filosofia del rischio meno spinta ma d'altra parte chissà , forse ha ragione Andrea , la montagna va affrontata di petto ed ogni ascensione va vissuta  appieno come nei "giorni grandi".