Per chi come me risiede in Valle d’Aosta il massiccio del Delfinato risulta
certamente scomodo e fuori mano, ciononostante sono rimasto affascinato dai
suoi paesaggi aspri e selvaggi fin dalla
mia prima visita risalente a oltre trent’anni fa. In effetti da allora sono
tornato molte volte a ripetere itinerari su queste belle montagne, la più
conosciuta delle quali è senz’altro la Barre Des Ecrins con i suoi 4102 metri. A poca
distanza dalla vetta principale le cime del Pelvoux , del Pic Sans Nom e
dell’Ailefroide dominano con pareti che sfiorano i mille metri di dislivello il
profondo vallone del Glacier Noir. Questi luoghi mi hanno sempre ricordato il bacino
di Argentière, nel gruppo del Monte Bianco, uno delle zone alle
quali sono maggiormente affezionato,
con l’incredibile muro di grandi e severe pareti nord che si estende
per alcuni chilometri sulla sinistra orografica dell’omonimo ghiacciaio.
Tornando al Delfinato e agli Ecrins volevo segnalarvi la via Fourastier
sull’imponente parete Nord-Est dell’Ailefroide Centrale (3927m).
La mia visita
a questo itinerario risale ai primi giorni di maggio del 2009 in compagnia di
Marcello. Lasciata la macchina nel parcheggio invernale poco prima di Pré de
Madame Carle (base di partenza per la via normale alla Barre Des Ecrins)
risalimmo sci ai piedi , alla luce della luna e delle frontali, l’intero
Glacier Noir. Oltre tre ore di avvicinamento, molto utili per “scaldarsi ”prima
della salita , se non che un’incredibile serie di violenti spindrift ci
costrinse ad una lunga attesa prima di poter dare il via alle ostilità .Poco
prima dell’alba, finalmente, attaccai intirizzito la prima serie di larghe
colate di polistirene, non difficili ma ben poco proteggibili, pregando che il
vento avesse finito di spazzolare il ghiacciaio sospeso soprastante inviandomi
violente colate di neve.
Le “richieste” furono ascoltate e poche ore dopo,
superati i brevi risalti (85°)della goulotte
centrale uscimmo sul ghiacciaio pensile illuminato dal sole. Seguì poi
una discreta ravanata con gli sulle spalle, per superare i pendii in neve
profonda ed una bella e impegnativa arrampicata mista tra roccia Oisans (quindi
non eccezionale) e ghiaccio, per superare sul lato sinistro, il bastione roccioso sommitale. Nelle prime
ore del pomeriggio, uscimmo in cresta e
ci affacciammo sul solare vallone du Sélé . Una bella giornata di primavera e
un panorama mozzafiato ma ahimè anche il selvaggio isolamento di queste vette a
ricordarci l’infinita lunghezza del rientro ancora da compiere per tornare a
valle. Molte ore dopo, alle nove e mezza di sera ( o di notte vista la
stagione) varcammo, claudicanti e famelici, la soglia di un ristorantino del
piccolo villaggio di Vallouise. La breve serie di doppie per raggiungere il ghiacciaio, ma soprattutto
l’infinita serie di rovinose cadute che segnò
la nostra interminabile discesa
nel vallone du Sélé ,nel tentativo di trovare un equilibrio tra le nostre
scarse qualità sciistiche e la pessima qualità della neve, sono oramai ricordi
lontani. Quegli stessi ricordi che legano inseparabilmente gli alpinisti alle
montagne.
Itinerario vario in un ambiente magnifico con scorci estetici sui seracchi
del ghiacciaio pensile al centro parete. Dislivello 800 m e difficoltà
complessiva TD / IV . Doppie attrezzate ma da verificare. Svariate relazioni
presenti in rete o sulla Bibbia della zona, il Tome 2 Guide de Haut – Dauphiné di François
Labande.Sul sito la relativa fotogallery.